La sola iscrizione presso il Registro delle imprese nella sezione speciale “artigiana” non comporta necessariamente che l’azienda sia effettivamente un’azienda artigiana. Almeno non nell’ambito delle procedure concorsuali. Vediamone un caso pratico.
La ditta ind.le “Mario ROSSI” – con sede in Melegnano (MI), via Telemaco, 21 – di seguito in breve anche “D.I.”, a seguito di prestazioni svolte nei confronti della committente HACCA SOLUTIONS S.P.A. – di seguito in breve “HACCA” – ha maturato, nei confronti della stessa, un credito tutt’ora insoluto pari a Euro 71.642,00.
In relazione a tale credito la D.I., nella persona del titolare Sig. Mario ROSSI, ha richiesto – anche con dichiarazione indirizzata ai Commissari Giudiziali – il riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, primo comma, n. 5), C.C.[1], essendo la D.I. una ditta artigiana.
Tale richiesta è stata disattesa essendo mancato – in capo alla procedura – il riconoscimento dello status di artigiano in capo alla D.I. e il citato credito retroclassato a credito chirografario, con le note conseguenze che ciò comporta in termini di chance di recupero dello stesso.
Ai fini della prova circa la veridicità di quanto dichiarato con la dichiarazione citata del 20.10.2016 e, dunque, circa la meritevolezza dell’inquadramento del credito nell’alveo dei privilegiati si ritiene utile esperire chiarire quali siano, ad oggi, gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in merito.
Orientamenti dottrinali/giurisprudenziali
Le modifiche apportate all’art. 2751-bis, primo comma, n. 5), C.C.[2] non ha risolto le incertezze circa la concessione del privilegio de quo.
Prima della citata novella legislativa la giurisprudenza era univocamente orientata nel ritenere insufficiente la sola iscrizione all’albo artigiani per la spettanza del privilegio ritenendo, nel contempo, che si dovesse fare ricorso soprattutto alla nozione di cui all’art. 2083 c.c.[3] e pertanto, per il riconoscimento del privilegio competeva all’imprenditore fornire l’onere della prova delle “qualità” soggettive e oggettive artigiane.
L’attuale art. 2751-bis, primo comma, C.C. prevede, al n. 5) che godono del privilegio generale sui mobili: “ (…) i crediti dell’impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti (…)”, aggiungendo, dunque, alla disposizione pre-modifica l’inciso “definita ai sensi delle disposizioni vigenti”.
Una interpretazione (minoritaria) di tale inciso sostiene che con esso il legislatore legherebbe il privilegio alla (sola) condizione di essere un’impresa con l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane “ai sensi delle disposizioni vigenti”. In caso contrario, apparirebbe vana la modifica del codice civile.
Secondo l’opposta interpretazione, invece, il legislatore non avrebbe voluto apportare una così radicale modifica non potendo limitare l’autonomia decisionale, costituzionalmente garantita, del giudice che – in tal modo – rimarrebbe quindi vincolato alla determinazione amministrativa.
Tale ultima interpretazione risulta essere, ad oggi, quella maggioritaria ed è necessario dunque indagare su quale sia il senso dell’apportata modifica nel senso di verificare quali siano le “disposizioni vigenti” che individuano l’artigiano.
Analisi ragionata delle disposizioni vigenti
Una dettagliata analisi delle disposizioni vigenti – in concreto della Legge 8 agosto 1985, n. 433 e s.m.i. (LEGGE QUADRO PER L’ARTIGIANATO) porterà ad acclarare come la D.I. abbia i requisiti sia soggettivi che oggettivi per essere definita a pieno titolo come impresa artigiana e, di conseguenza, il credito de quo debba essere ammesso al privilegio richiesto.
Art. 2 della Legge 8 agosto 1985, n. 443 – Legge quadro per l’artigianato – “È imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il PROPRIO lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. Sono escluse limitazioni alla libertà di accesso del singolo imprenditore all’attività artigiana e di esercizio della sua professione. Sono fatte salve le norme previste dalle specifiche leggi statali. L’imprenditore artigiano, nell’esercizio di particolari attività che richiedono una peculiare preparazione ed implicano responsabilità a tutela e garanzia degli utenti, deve essere in possesso dei requisiti tecnico-professionali previsti dalle leggi statali.”
Il Sig. Mario ROSSI esercita personalmente, professionalmente ed in qualità di titolare la D.I.. Lo stesso, infatti, detiene personalmente le abilitazioni di cui alle lettere C, D ed E e di cui al Decreto 22 gennaio 2008, n. 37 e ne assume certamente la piena responsabilità. Tant’è che egli stesso ha assunto il rischio dell’insoluto che cerca – ancora una volta personalmente – di recuperare legittimamente.
Egli svolge in misura prevalente il PROPRIO lavoro nel processo produttivo. È proprio l’aggettivo qualificativo “PROPRIO” che pone in secondo piano e su di un piano di fattuale irrilevanza il fatto che la D.I. “sub-appalti” parte dei lavori commissionatigli dalla HACCA a terzi. È la D.I. stessa, nella figura del titolare e dei suoi dipendenti (nei limiti quantitativi previsti, come vedremo infra) a svolgere il PROPRIO LAVORO – dunque quello di cui egli ha le competenze e le relative abilitazioni. I lavori sub-appaltati hanno diversa natura e, dunque, non fanno parto del lavoro proprio avendo ciò, come naturale conseguenza, l’impossibilità di considerare tali lavori ai fini della prevalenza di cui alla norma (vedremo infra come anche il mero calcolo matematico – al netto di queste considerazioni – convergano nello stesso senso[4]).
La norma, inoltre, specifica come “Sono escluse limitazioni alla libertà di accesso del singolo imprenditore all’attività artigiana e di esercizio della sua professione.”. Ma l’escludere la D.I. all’accesso all’attività artigiana – come di fatto si fa retroclassando il credito a chirografario – per il sol fatto che il Sig. ROSSI ha accettato un appalto generale e ha subappaltato lavori che non rientravano nell’ambito del PROPRIO LAVORO – che si ribadisce viene svolto da egli stesso in maniera prevalente – significa, di fatto, limitare tale libertà.
Diverso sarebbe stato se il Sig. ROSSI avesse sub-appaltato lavori della medesima natura di quelli da lui (o dalla sua D.I.) prestati. Cosa che, di fatto, non è accaduta.
Art. 4 della Legge 8 agosto 1985, n. 443 – Legge quadro per l’artigianato – “L’impresa artigiana può essere svolta anche con la prestazione d’opera di personale dipendente diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai soci, sempre che non superi i seguenti limiti: a) per l’impresa che non lavora in serie: un massimo di 18 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 9; (…)”
La D.I., nell’anno 2014, è arrivata ad avere un massimo di 2 dipendenti, rientrando, dunque, a pieno titolo, all’interno dei requisiti dimensionali previsti.
Recenti orientamenti giurisprudenziali.
Il Tribunale di Milano[5] si è orientato nell’ammettere il credito al passivo fallimentare in privilegio ex art.2751-bis, n. 5, C.C. solamente a seguito di preliminare verifica e sussistenza dei requisiti di cui alla legge quadro 443/1985.
Come già in precedenza specificato e come qui si ribadisce, secondo il Tribunale, per stabilire la natura artigiana del credito, dovrebbe farsi riferimento alla legge quadro sull’artigianato, che costituisce la specifica normativa di settore e non più all’art. 2083 c.c. e quindi è sempre necessaria la verifica circa la sussistenza – con riferimento all’epoca di insorgenza del credito e, quindi, di svolgimento della prestazione – di tutti i requisiti richiesti per la qualificazione dell’impresa come artigiana, previsti dalla citata legge quadro. Pertanto, il magistrato in fase di verifica dovrebbe sindacare la reale “consistenza” dell’impresa, ovvero:
- l’oggetto sociale (rectius oggetto dell’attività);
- la prevalenza del fattore lavoro sul fattore capitale;
- l’importo delle immobilizzazioni in bilancio (rectius nel libro dei cespiti ammortizzabili)alla data cui si riferisce il credito richiesto;
- i limiti dimensionali relativi al numero massimo di dipendenti che deve avere l’impresa artigiana;
- le dichiarazioni fiscali.
Analizziamo punto per punto, dunque, quanto – a detta del Tribunale di Milano e comunque della giurisprudenza e della dottrina maggioritaria – dovrebbe verificare il magistrato:
- oggetto sociale: l’ 3 della Legge quadro dà la definizione della impresa artigiana: “È artigiana l’impresa che, esercitata dall’imprenditore artigiano nei limiti dimensionali di cui alla presente legge, abbia per scopo prevalente (leggasi oggetto dell’attività) lo svolgimento di un’attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all’esercizio dell’impresa.”
ANALISI → L’attività svolta dal Sig. ROSSI con la D.I. è quella di “installazione di impianti idraulici, di riscaldamento, e di condizionamento dell’aria e l’installazione di impianti per la distribuzione del gas” attività che a pieno titolo soddisfa il requisito del sopra citato art. 3 della Legge quadro;
- prevalenza del fattore lavoro sul fattore capitale[6]:
ANALISI → come già in precedenza ampiamente evidenziato il Sig. ROSSI svolge in misura prevalente il proprio lavoro nel processo produttivo e nonostante lo stesso “sub-appalti” parte dei lavori commissionatigli dalla HACCA a terzi, il PROPRIO LAVORO – dunque quelle di cui egli ha le competenze e le relative abilitazioni – viene svolto da egli stesso e dai propri dipendenti in maniera prevalente (con buste paga Milano)
Ma la preminenza del fattore lavoro sul capitale investito non deve essere inteso solo in senso quantitativo, ovvero il peso di un fattore produttivo sull’altro, ma anche in senso funzionale e qualitativo, in rapporto con le caratteristiche strutturali fondamentali dell’impresa artigiana ed alla natura del bene prodotto e del servizio reso[7].
Ciò significa che sotto l’aspetto qualitativo e funzionale, possiamo trovare imprese artigiane caratterizzate dall’opera qualificante dell’imprenditore o dei suoi collaboratori e che, tuttavia, pur a fronte di una limitata organizzazione, hanno bisogno strutturalmente di un notevole impiego di capitali. Per contro, possiamo trovare imprese nelle quali l’aspetto qualitativo/funzionale perde di significato e quindi il giudizio resta affidato al ruolo giocato dal rapporto capitale e lavoro, ad esempio si verifica quando l’attività dell’imprenditore, pur caratterizzata da una qualificazione professionale della stessa, non è espressione di un’arte o di una capacità professionale ricollegabile alla persona che qualitativamente la caratterizza, né richieda rilevanti investimenti di capitale, potendosi svolgere indifferentemente con elevati o modesti capitali.[8]
Per rilevare la prevalenza del lavoro sul capitale si ricorda come sentenza della Corte di Cassazione del 2 giugno 1995 n. 6221, sez. I ha legittimato i criteri che devono essere seguiti al fine di rilevare la prevalenza dell’uno sull’altro.
Nello specifico, le grandezze che esprimono meglio il lavoro e il capitale sono le voci che costituiscono il costo del lavoro e il valore del capitale investito.
Costo del lavoro → tutti gli elementi retributivi che costituiscono il costo del lavoro per il personale dipendente, per le collaborazioni a progetto oltre ai compensi percepiti dall’artigiano o dai soci, ovvero, dai compensi figurativi nel caso in cui nel conto economico dell’impresa non compaiano voci attribuibili alle prestazioni svolte dal titolare o dai soci, sempre che svolgano il loro lavoro in misura prevalente all’interno dell’impresa.
Avremo pertanto come costi per:
1) dipendenti e collaborazioni
– le retribuzioni,
– i ratei ferie, tredicesime, e quattordicesime,
– i contributi INPS e INAIL,
– la quota trattamento fine rapporto,
2) l’artigiano ed eventuali soci
– il costo evidenziato nel conto economico per le loro prestazioni, oppure, in mancanza di questo il salario figurativo dell’artigiano;
– i contributi sostenuti a loro favore per INPS, INAIL o per altre casse riscontrabili nel conto economico dell’impresa.
Relativamente alla quantificazione del salario figurativo dell’artigiano la Cassazione individua come elemento quantificatore del salario figurativo, l’utile attribuito ai soci (nel caso specifico al titolare della D.I.)[9].
Capitale investito → è costituito dal capitale fisso più il capitale circolante.
- Il capitale fisso è rappresentato da tutti i beni durevoli che partecipano al ciclo produttivo inclusi quindi i beni in comodato d’uso anche gratuito e quelli in leasing.
Il valore da prendere come riferimento, come ci indica la sentenza della Corte di Cassazione del 2 giugno 1995 n. 6221, sez. I, è la sommatoria dei vari ammortamenti (valore del capitale fisso consumato nell’anno);
- Il capitale circolante è rappresentato dalla liquidità immediata, differita e dalle rimanenze. Tuttavia il valore che ci interessa non è la totalità dei mezzi finanziari impiegati nel periodo di riferimento ma solo l’ammontare strettamente necessario per il funzionamento dell’impresa. Questo si ottiene rapportando al valore del fatturato netto di vendita il valore del capitale di esercizio. Il valore ottenuto esprime il tasso di rotazione del capitale di esercizio, ovvero quante volte il capitale circolante gira nell’arco di un anno. Per ottenere il valore del capitale circolante strettamente necessario al funzionamento dell’impresa è necessario dividere il valore del capitale circolante per il tasso di rotazione.
Il valore così ottenuto andrà sommato al capitale fisso ottenendo il valore del capitale investito che andrà confrontato con il costo del lavoro in precedenza descritto.
È proprio il confronto di questi dati che ci permetterà di verificare se vi sia una prevalenza del lavoro sul capitale.
COSTO DEL LAVORO | |
a. Retribuzioni (lorde) dei dipendenti | |
b. Ratei mensilità aggiuntive, ferie e permessi | |
c. Contributi INPS e INAIL dei dipendenti | |
TOTALE (a. + b. + c.) | 21.128,41 |
Salario figurativo artigiano = utile lordo | 114.403,00 |
Contributi INPS e INAIL dell’artigiano | 22.769,00 |
Quota accantonamento TFR | 2.314,44 |
TOTALE | 160.614,85 |
Poiché il TASSO DI ROTAZIONE DEL CAP. DI ESERCIZIO = FATTURATO NETTO/CAP. CIRCOLANTE INTEGRALE (l.i. + l.d. + rimanenze) avremo:
- FATTURATO NETTO = Euro 498.636,00
- CIRCOLANTE INTEGRALE (l.i. + l.d. + rimanenze) = 40.912,64 + (2.247,38 + 46.658,40) + 8.810,37 = Euro 98.628,79
TASSO DI ROTAZIONE DEL CAP. D’ESERCIZIO = 498.636,00 / 98.628,79 = 5,055
Poiché il CAPITALE CIRCOLANTE (necessario per il funzionamento dell’impresa) = CAP. CIRCOLANTE INTEGRALE (l.i. + l.d. + rimanenze)/TASSO DI ROTAZIONE DEL CAP. DI ESERCIZIO avremo:
- 628,79 / 5,055 = 19.511,13
E quindi CAPITALE CIRCOLANTE (necessario per il funzionamento dell’impresa) =
CAPITALE INVESTITO | |
CAPITALE FISSO consumato nell’anno (ammortamenti 2014) | 9.487,00[18] |
CAPITALE CIRCOLANTE necessario per il funzionamento dell’impresa | 19.511,13 |
TOTALE | 28.998,13 |
Essendo il costo del lavoro (Euro 160.614,85) ampiamento superiore al capitale investito (28.998,13) il test di artigianalità come previsto dalle corti di legittimità risulta superato[10].
- importo delle immobilizzazioni in bilancio:
ANALISI → le immobilizzazioni della D.I. al 31.12.2014 constano, al nette delle macchine d’ufficio complementari ma in ogni caso indispensabili allo svolgimento delle attività amministrative (e comunque di esigua rilevanza), di attrezzature STRETTAMENTE NECESSARIE PER LO SVOLGIMENTO DELLE ATTIVITA’ PROPRIE DELLA D.I. (es. saldatrici, pompe, flangiatubi, avviatori, smerigliatrici, trapani…). L’unica immobilizzazione “terza” si riduce ad un box/autorimessa del valore di Euro 21.000,00 (valore pari al 4,96% circa del volume d’affari 2014);
- numero massimo di dipendenti:
ANALISI → VGS. Precedente analisi dell’art. 4 della Legge quadro;
Conclusioni
Si ritiene dunque che alla luce del dato normativo, così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, la ditta individuale Mario ROSSI Domenico abbia a pieno titolo il diritto di vedersi riconosciuto il credito qualificandolo come privilegiato anche a tutela della non limitazione “(…) alla libertà di accesso del singolo imprenditore all’attività artigiana e di esercizio della sua professione.”
[1] Art. 2571-bis, comma unico, n. 59, C.C. “Hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti: (omissis) 5) i crediti dell’impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni vigenti (omissis)…”
[2] Modifiche apportate dal comma 1 dell’art. 36, D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 aprile 2012, n. 35;
[3] Art. 2083. (Piccoli imprenditori). “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.”;
[4] Secondo i parametri riconosciuti dalla giurisprudenza di legittimità, Cassazione del 2 giugno 1995 n. 6221, sez. I;
[5] Tribunale di Milano, decreto depositato il 14/6/2013 – sentenza rappresentativa del più recente orientamento giurisprudenziale;
[6] da leggere e considerare CONGIUNTAMENTE al successivo punto 3. Importo delle immobilizzazioni;
[7] Ex multis Vgs. Cass. 20 settembre 1997 n. 9340, Cass. 2 giugno 1995 n. 6221;
[8] Tratto dal documento redatto dalla COMMISSIONE PRECEDURE CONCORSUALI – gruppo di studio formato da: Malagoli Rag. Claudio (responsabile), Altomonte Dott. Luca, Giovanardi Dott.ssa Enrica, Luppi Dott.ssa Stefania, Menetti Dott. Pietro Marco, Pignatti Morano Dott. G. Battista, Quartieri Dott.ssa Cristina, Riva Dott. Andrea, Spinelli Dott. Alberto;
[9] La Corte sa benissimo che si tratta tecnicamente di una forzatura, in quanto ingloba un quid attribuibile alla remunerazione del capitale. Tuttavia, ritiene che il valore così ottenuto sia di per se valido, ma che debba essere interpretato, da caso a caso, alla luce della particolare attività svolta dall’impresa;
[10] Si evidenzia anche che se avessimo voluto “sottostimare” il salario figurativo artigiano fino ad un valore finanche pari ad una minima percentuale dell’utile lordo (es.: 30% dello stesso), la prevalenza del costo del lavoro sul capitale investito sarebbe comunque ampiamente dimostrata;
Ivo CIRACI
Dottore commercialista e Consulente del Lavoro in Milano e Melegnano